La Passatella a Pescara

dai ricordi della festa di Madonna del Fuoco di Giovanni Cirillo

Durante la festa della Madonna del Fuoco mi tornano alla mente mille particolari rimasti stampati nella memoria. Quanto sto per raccontare avveniva nella tarda mattinata del lunedì con ancora visibili i residui delle consumazioni di nocelle e porchetta, divorati la domenica a sera.

Location dell’evento: l’attuale sede (tana) degli Scout Pe8, allora adibito a osteria con ingresso su via Stradonetto (storicamente questo locale è stato sempre un punto ricreativo, sede di un importante “dopolavoro” durante il ventennio). Finché, credo Don Giuseppe, acquistò il fabbricato per annetterlo alla Parrocchia.

Al tempo dei miei ricordi gestiva il locale tale Stefano, un omone sorridente e panciuto che conosceva bene le abitudini dei suoi clienti, quindi per il terzo giorno di festa predisponeva puntualmente all’ombra esterna (siamo in pieno luglio) un grosso tavolo e tre o quattro casse di birra fresca per i “belligeranti” della passatella.

La passatella è un antico gioco da osteria che si realizza con un mazzo di carte, vino o birra tra un gruppo di amici (diciamo, non sempre!). Si basa sullo sfottò e la discriminazione che subisce il personaggio della comitiva a cui si nega di bere, ossia si manda a…”olmo”.Prevede un certo “protocollo” di battute, allusioni e sberleffi che qualche volta portano persino alla rissa. Pare risalga ai tempi dell’antica Roma, tant’è che ne parlano Catone e Orazio. In questi ultimi tempi si tratta di un rito che va scomparendo, resta forse in qualche vecchia osteria di periferia.

Torniamo ai protagonisti nostrani. Quello del lunedì ” di la Madonne di lu Foche” è un appuntamento a cui non possono mancare i passarellisti più accaniti della contrada. Non c’è bisogno di inviti, ognuno aspetta questa mattinata per regolare qualche conticino in sospeso nell’ambito della “ciurma”.

Tra astanti curiosi (tipo il sottoscritto) e giocatori, il capannello si fa piuttosto ciarliero, mentre la tenzone prende il via. I più, rigorosamente in canottiera (non per il caldo di luglio, ma per non sporcarsi la camicia “buona” per la sera).

Da come evolve l’atmosfera del gioco e le frasi sibilline che cominciano a volare si può intravvedere la direzione della “guerra”, ossia la vittima o le vittime che devono tornare a casa bocca secca. Per la circostanza è uno “smacco”, ma è così!

In questo tipo di gioco la moderazione non diverte; i vari personaggi venivano presi di mira in maniera diametralmente opposta alle rispettive caratteristiche. I bevitori golosi venivano fatto oggetto di severe “punizioni” di astemia (a volte per farli imbestialire, venivano offerte loro quattro cinque gocce di birra, quasi fosse una medicina; viceversa per i delicatini di stomaco ci si coalizzava obbligandoli a bere fino a farli star male.
Le frasi sadiche di rito erano, per i primi: “ti si da’bbruscià lu cannarozze!” Mentre per i secondi…”la bbirre ti d’arscì da li pall ‘ di l’uchie”.

Una baraonda di risate e sghignazzi dove si sprigionavano antipatie o simpatie anche tra coloro che avevano soltanto assistito. I perdenti, più che mai rancorosi, in attesa della partita di ritorno per la “vendetta” che si sarebbe svolta, nel fine settimana, presso la vicina “cantina di Tiriticco”, vero tempio della passatella fochese.